Capire senza confondere
Il Giorno della Memoria dovrebbe essere qualcosa su cui non c'è nulla da discutere. Si ricorda e si riflette. Sulla sua importanza, sul suo valore non possono esserci dubbi.
Eppure, ogni santo anno, ecco che spuntano appunti più o meno improvvisati su altre tragedie della storia dell'umanità. Tragedie di cui le stesse fonti si disinteressano bellamente nei rispettivi anniversari, tragedie di cui si sente parlare praticamente solo nel giorno in cui si celebra la liberazione di Auschwitz. E così, più che legittima memoria di orrori e disgrazie, sembra più un alzar la manina e con fare infantile rinfacciare i dolori altrui a chi ha sofferto un dramma immenso. Come se a chi ha perso una persona cara, invece di fare le condoglianze, al funerale si andasse a dire "ah, ma sai, è morto anche Pinco Pallo, perché non parliamo di lui? E' stata una disgrazia anche questa, mica solo la tua". Vi piacerebbe o sareste tentati di dare un pugno sul naso a cotanto sensibile interlocutore? Se permettete, la metto sul personale. Mio nonno è stato tormentato nei suoi sogni dall'immagine del fratello deportato. Il 27 gennaio io piango il mio prozio e chi ha subito la sua sorte. Oggi si celebra questo. Se non vi va (e già questo vi rende spregevoli) evitate almeno di commentare e dirmi che nel giorno consacrato alla memoria di queste vittime dobbiamo parlare d'altro.
Il discorso non è, non deve essere solo personale, però. Anche al di là della sensibilità verso le vittime, i parenti delle vittime, i popoli vittime, mescolare ogni tragedia in un unico calderone ci impedisce di riflettere. Riflettere sull'Olocausto non significa essere insensibili agli altri crimini dell'umanità: anzi, significa anche ragionare sulle peculiarità uniche come su elementi ricorrenti nella propensione dell'uomo all'orrore. Non è una gara a chi ha sofferto di più, è condividere la memoria, la riflessione, il dolore.
Chi il 27 gennaio si affanna a elencare stermini da Sargon I (XXIV secolo a.C.) a Boko Haram in genere negli altri 364 o 365 giorni l'anno non s'interessa granché di tutti gli innocenti uccisi da Abele in poi. Però, il 27 gennaio si sente in dovere di dire che non sono solo gli ebrei ad aver sofferto. A me sembra che, dietro il paravento delle ottime intenzioni (chi non prova sdegno per ogni discriminazione e pulizia etnica?), il succo sia solo di sminuire e annacquare questa ricorrenza, rimproverare agli ebrei il fatto stesso di esser stati perseguitati solo perché anche altri lo sono stati. Come può stare in piedi un ragionamento del genere? Come può essere in buona fede l'ostinazione a spostare l'attenzione da una tragedia nel giorno in cui la si commemora? Siamo tutti uniti nel condannare persecuzioni e discriminazioni perché oggi ricordiamo l'Olocausto (e parlare di antisemitismo e sterminio degli ebrei non significa non stringerci anche alle altre categorie considerate "indesiderabili" dal nazifascismo e internate nei campi), perché in altri giorni ricordiamo altri drammi.
Mescolare tutto fa perdere i contorni, i dettagli, impedisce di capire. Invece bisogna comprendere, pensare. Comprendere che i nativi americani sono stati vittime dell'espansione dei coloni europei: vittime di una conquista, in quanto abitanti di un territorio che faceva gola ad altri. Così tanti altri sono stati uccisi e sterminati perché al centro di guerre e conflitti territoriali, perché dissidenti politici, perché fedeli della religione sbagliata, per comportamenti non considerati leciti, per caratteristiche innate o meno, ma comunque individuali. Un ebreo viene odiato in quanto ebreo. Non importa quelche fa, quel che dice, la religione che segue: la "soluzione finale" pianificava semplicemente l'eliminazione dalla faccia della terra di uomini e donne solo in base alla loro stirpe. Non c'era modo di difendersi, di dissimulare, non c'è resa, non c'è abiura che tenga: se fra i genitori, nonno, bisnonni c'è un ebreo, semplicemente non si ha diritto di esistere, non c'è luogo dove fuggire, religione cui convertirsi, comportamento da adottare. La condanna non colpisce il singolo individuo, lo perseguita da prima che nasca. L'antisemitismo millenario e la Shoah hanno la loro storia e la loro memoria. Possiamo metterla in relazione con altre storie e memorie, sentirci fratelli di tutte le vittime e nemici di tutti i carnefici, ma cancellare le peculiarità di ogni crimine di discriminazione è un torto che facciamo a ogni vittima, un favore che facciamo a ogni carnefice, perché perdiamo lo sguardo lucido sulle ragioni, i contesti, i tratti comuni e quelli unici. Facciamo torto alla memoria dei nostri morti, siamo più indifesi nei contronti delle minacce sempre vive della discriminazione e dell'intolleranza.
Oggi, 27 gennaio, piangiamo su Auschwitz, per rispetto delle vittime dell'antisemitismo e di chi è stato colpito dal nazifascismo con stelle e triangoli di qualunque colore, per rispetto di chi ha sofferto altre persecuzioni, per essere tutti più forti nella memoria per un futuro migliore.