Coltivare la Libertà
Oggi c'è un bel sole, là fuori. C'è un bel sole e non ce lo possiamo godere, tranne – i più fortunati, nell'angolo di un terrazzo, di un balcone, di un cortile privato. In questo 25 aprile tiepido e soleggiato, non si può festeggiare all'aperto, non si può fare una gita, un pic nic. Non si può partecipare a un corteo o a una cerimonia, se non virtualmente.
Oggi il 25 aprile non può essere solo una festa, non può trasformarsi in una festa come tutte le altre, un'occasione per divertirsi in compagnia. Siamo costretti a pensare.
Nell'emergenza sanitaria che ci attanaglia, nel clima surreale e sospeso della quarantena, forse un 25 aprile privato da ogni tentazione di disimpegno, da ogni possibile distrazione, può far riflettere, riscoprire il significato di quella che non è solo una festa.
Non solo, ma anche, certo. Settantacinque anni fa l'Italia si liberava dal regime fascista, dall'occupazione nazista, dall'alleanza fra tedeschi e repubblichini. La fine della guerra, della dittatura, delle leggi razziali... non c'è motivo per non festeggiare. Essere antifascisti non significa militare in questo o quel partito, posizionarsi da una parte o dall'altra dell'emiciclo parlamentare: vuol dire essere liberi e pensanti, credere nello stato di diritto, nella democrazia, nella civeltà, nel rispetto reciproco e nei diritti di ogni essere umano senza alcuna discriminazione. Essere antifascisti significa essere persone civili. Erano antifascisti e combattenti per la nostra libertà uomini e donne d'ogni fede religiosa e politica, cattolici ed ebrei, repubblicani e monarchici, socialisti e liberali, partigiani sulle montagne e soldati dell'esercito regolare. Li accomunava l'ideale di un mondo migliore, della libertà e della dignità.
C'è chi dice che parlare di antifascismo sia anacronistico e se ne potrebbe forse discutere se effettivamente i valori dell'antifascismo fossero dati per assodati come patrimonio comune e imprescindibile. Quando invece si trova ancora chi prova ad alzare la voce parlando di “cose buone” fatte dal Regime (che non esistono), di inciampi nella successiva storia repubblicana (che non mancano, ma non giustificano la dittatura), del rispetto per i caduti da entrambe le parti (l'umana pietà non cancellerà mai l'esistenza di una parte giusta e di una parte sbagliata nella lotta al nazifascismo) di tristi episodi incorsi sulla strada della Liberazione (che fanno parte, purtroppo, di ogni conflitto ma non cambiano il fatto che la causa fosse quella giusta), in questi casi ci si rende conto che invece è sempre fondamentale riflettere sul 25 aprile, sulla Resistenza, sulla Libertà e sull'Antifascismo. Chi sente questi valori come divisivi è, evidentemente, perché apprezza la discriminazione e il totalitarismo, quindi è logico che non si trovi a proprio agio in un paese civile e che un paese civile non possa e non debba accoglierne le posizioni.
Rimanere chiusi in casa, sospendere le nostre vite, sentire l'attenzione che si concenra sui bisogni più essenziali, sulla sopravvivenza, su quel che eravamo abituati a dare per scontato, forse potrebbe aiutarci a riconoscere nel 25 aprile la celebrazione di valori profondi e imprescindibili.
Essere cittadini liberi non significa, infatti, solo non vivere sotto una dittatura. Significa esercitare lo spirito critico per comprendere le armi della propaganda e non cadere vittima di strategie fatte di notizie false o manipolate, slogan a effetto, odî istillati ad arte. Significa riconoscere l'autorevolezza della competenza e della rappresentanza contrapposta all'obbedienza cieca, perinde ac cadaver, a un leader, al culto della personalità dell'uomo (o della donna) forte. Significa capire, e sul serio, senza cercare le strade tortuose del complotto e della dietrologia che fanno il gioco dalla propaganda e sovente sono da questa tracciate. Significa anche mettere in discussione, ma su basi concrete di competenze e argomentazioni. Significa conoscere il valore della storia, saper riflettere sul passato e trarne insegnamenti, perché l'orrore si è presentato più volte, insinuandosi in forme diverse, ma sempre facendo leva sugli stessi istinti, sugli stessi sospetti, sulle stesse insinuazioni, sull'ignoranza e la persuasione.
Forse ora, mentre tutti combattiamo un nemico microscopico, invisibile, comune a tutta l'umanità, giova ricordare che settantacinque anni fa si sono sconfitti faccia a faccia altri esseri umani che facevano della loro bandiera la negazione dell'umanità stessa, della sua dignità, dei suoi diritti. E, forse, giova soprattutto oggi ripensare a questi valori e a come possiamo difenderli: prima di dover ricorrere alle armi come i nostri nonni, possiamo esercitare la virtuosa prevenzione della consapevolezza, dello spirito critico, del rifiuto della discriminazione e della manipolazione e confusione di fatti e opinioni.
C'è un bel sole là fuori, ma per goderlo in libertà quando sarà possibile dovremo prima coltivare la libertà dentro di noi.